PUNTO NASCITA, NOI GENTE “DIVERSAMENTE ASSISTITA” IN UN TERRITORIO “DIVERSAMENTE VOCATO”

Ancora, ancora contro di noi, un altro scippo, ancora chiusure e questa volta non è facile da digerire: il punto nascite a Sulmona fa parte di quelle strutture che, con meno di 1000 parti l’anno, secondo il piano nazionale di riordino dei punti nascita, deve chiudere. Non rientra neanche nella deroga dei 500 bimbi nati in un anno, niente sconti. I tagli sono dovuti in virtù di precise direttive nazionali e di una follia politica scellerata che, bendata dalla falce dei tagli, non comprende che anche 15 minuti possono fare la differenza tra la vita e la morte. Il consiglio alle donne che devono dare alla luce un bimbo è di scegliere una struttura di grandi dimensioni, spesso spersonalizzanti e sovraffollate. Vorrei proprio sapere se i risparmi generati da questi tagli potranno mai giustificare il disagio di una partoriente a recarsi con le doglie ad Avezzano o a Pescara e non voglio pensare a decessi o lesioni dovute a complicazioni durante un improvviso travaglio. Perché spesso nel parto non si sceglie: parto prematuro, distacco di placenta… i bambini decidono di nascere e non badano alla notte, alla neve, alle distanze. E’ vero, la gravidanza non è una malattia, ma una condizione fisiologica, ma può divenire patologica sia per la madre che per il feto o per tutti e due. La gravidanza/parto fisiologici possono divenire patologici in pochi istanti.

La decisione è grave e dolorosa perché la soppressione del punto nascite, molto più che la soppressione di ogni altro presidio territoriale, ci toglie la libertà di poter scegliere, il diritto di poter vivere in  posti “diversamente vocati” come la Valle Peligna, l’Alto Sangro, la Valle Subequana, forti di valori come la natura, l’ambiente, il rispetto e l’attenzione per la dimensione umana, ma poveri di strutture, interventi e garanzie.

Perché se sapessi che la vita del piccolo che aspetto è potenzialmente in pericolo farei qualsiasi cosa per salvarlo e probabilmente, in un’ottica di programmazione di vita di lungo periodo, andrei a vivere nei “territori di serie A”, dove ho tutto a portata di mano, sono aiutata, soccorsa e sostenuta. Chiari sono i motivi di sicurezza della donna e del nascituro che deve raggiungere, nel poliedrico e mai uguale evolversi della gravidanza, un ospedale lontano. Come possiamo darci pace e ignorare questa omissione di soccorso programmata che legifera per chiudere l’unico punto nascita  di un vasto distretto di montagna, pregiudicandone di fatto la prestazione sanitaria di base?

A queste incondivisibili strategie politiche insorgono i cittadini (poco!!! i giovani dove sono?), si riuniscono i sindaci (meno male), qualche politico non ci concede alcuna speranza esortandoci alla rassegnazione perché nel futuro vede un solo ospedale regionale, un solo tribunale regionale e così via. Cacchio, non ci meritiamo proprio niente, noi gente “diversamente assistita” in un territorio “diversamente vocato”.

Ma parliamo di alcune cifre relative solo al Comune di Sulmona. I dati sono sconcertanti: i nati da genitori residenti ne Comune di Sulmona nell’anno 2010 sono stati 118 ma ben 55  sono stati partoriti fuori Sulmona; nel 2011 138 bimbi sono nati  a Sulmona mentre 47 sono stati partoriti  fuori; nell’anno 2012: 156 a Sulmona e 36 nati fuori; nell’anno 2013: 107 nati a Sulmona e 55 nati fuori; nell’anno 2014:116 a Sulmona e 52 nati fuori e nel 2015  fino ad oggi : 4 nati a Sulmona e 6 nati fuori.

Perché quasi il 50% dei bambini di Sulmona nasce comunque fuori? Credo che spulciando altri dati, allargando il bacino a tutti i comuni del Centro Abruzzo che gravitano intorno all’ospedale di Sulmona e andando ancora più indietro nel tempo le percentuali potrebbero sicuramente aumentare a favore dei bambini di questo territorio nati però in altri ospedali abruzzesi. E questo infatti è solo il dato cittadino ma è un dato che dice tanto: che il problema nasce da lontano ed è sicuramente frutto di una politica imprevidente e improvvisata. Perché tante ragazze di Sulmona vanno a partorire altrove? Ce lo vogliamo chiedere? E’ solo frutto di esterofilia esasperata? O di diffidenza di un reparto non efficiente? O ricerca di garanzie maggiori?

E’ indiscusso che la qualità delle prestazioni offerte dalle strutture più grandi, quelle dove nascono ogni anno più di 2.500 bambini è diversa da quelle più piccole, da meno di 1.000 parti all’anno. È una questione di risorse umane e tecnologiche: spesso le piccole strutture non dispongono di guardia medica neonatologica e ostetrica attiva 24 ore su 24, di reparto di neonatologia, di possibilità di parto indolore, non hanno i necessari standard di professionalità e non godono dell’adeguato supporto tecnologico. Qualità e sicurezza possono essere infatti garantiti solo se un reparto dispone di una sufficiente casistica e i piccoli punti nascita non sempre sono adeguatamente attrezzati. La conseguenza è che in alcune di queste strutture viene effettuato un numero di parti molto limitato.

Però è un cane che si morde la coda.

Forse se avessimo parlato anni fa di innovazione introducendo –solo a titolo di esempio- il parto in acqua  o la partoanalgesia garantendo questa opzione 24 ore su 24, strutturando meglio il reparto con attrezzature d’avanguardia, ottimizzando i ruoli di medici e infermieri, schermandolo dalle malefiche conseguenze di procedimenti penali che tanta risonanza hanno nei piccoli centri di provincia, avremmo avuto fiducia delle partorienti e un numero di parti sufficienti a mantenere aperta la struttura? E se invece li dotassimo ora di questi e altri servizi non potremmo invertire la rotta se è solo una questione di numeri?

Anna Berghella