VIAGGIO NEI RITI PELIGNI, TRA HALLOWEEN E OGNISSANTI. NEL MEZZO: IL “CAPETIEMPE”
Credenze popolari e riti nei paesi della Valle Peligna tra Halloween e Ognissanti, nel mezzo: il Capetiempe (capotempo), dove tutto comincia. Ā Sulmona si prepara per celebrare questa sera Halloween, con le sue feste da paura in ogni locale della cittĆ , facendo spazio tra le proprie tradizioni alla festivitĆ in stile macabro di importazione americana e di origine celtica. Quasi dimenticando le proprie radici, quelle legate, piuttosto, al giorno di Ognissanti, con i suoi riti e le sue credenze popolari, al posto delle zucche di Ā āJack oāLanternā, teschi, streghe e <dolcetti o scherzetti> attesissimi soprattuttoĀ dai bambini.Ā Gli antichi riti nella Valle Peligna del 1 e 2 novembre raccontano diĀ processioni di morti, banchetti funebri, tavole lasciate imbandite nelle case durante la notte, ceri accesi sulle finestre e usanze che alla fine non sono troppo distanti dalla tanto criticata Halloween di importazione estera.Ā
<TITI TIRI TERA PASSA LA SCORNACCHIERA>
Un poā in tutti i paesi della Valle Peligna leggende immaginarie narravano dellā invisibile e silenziosa processione dei morti che dal cimitero, alla volta della chiesa e ritorno, si snodava seguendo il percorso dettato dai ceri accesi sui balconi delle case, indicanti, al passaggio dei defunti, la propria antica dimora. In alcuni comuni, come Pratola,Ā la porta si lasciava socchiusa per accogliere i cari estinti, con la tavola apparecchiata e una conca dāacqua sul tavolo. In altri, invece, non si raccoglievano le molliche cadute sul pavimento e la mensa restava imbandita con gli avanzi della cena. Usanza vietata negli altri periodi dellāanno in quanto sarebbe stato nefasto.
AĀ IntrodacquaĀ lāimmaginazione definiva lāordine di successione delle anime in corteo con una candela in mano: davanti i nati morti (senza muovere i passi avanzano come spinti da un soffio di vento), seguiti dai deceduti subito dopo il battesimo, poi le giovani, infine adulti e anziani. La processione era chiamata laĀ āScornacchieraāĀ (da cornacchia, per la quale, diversamente dal corvo, prevalgono aspetti positivi, sempre secondo le credenze popolari ) ed era scandita da una filastrocca ātiri tiri tera e moā passa la scornacchieraā.Ā Ā Ancora oggi nelle finestre delle case introdacquesi vengono accesi lumini.
A Pacentro, nella settimana dei morti, venivano celebrate le messe in tutte le chiese fino alla festa di San Carlo (prima domenica dopo Ognissanti). Racconta De Nino che il banchetto funebre alla vigilia del 2 novembre era preparato dalle famiglie agiate proprio per i morti, per poi devolvere tutto ai poveri la mattina seguente.
A RaianoĀ si celebrava la messa nella notte tra il 1 e 2 novembre, mentreĀ a Roccapia,Ā racconta Monaco, cāera la credenza che di notte si celebrasse unāaltra messa di sole ombre officiata da preti defunti per tutti i morti del paese.
A Sulmona, invece, si svolgeva il 2 novembre lāufficio funebre piĆ¹ singolare, durato fino alla fine del 1800, intrecciandopaganesimo e cristianesimo: il banchetto funebre che ricorda la tradizione celtica, anche se lāusanza si rintraccia anche nellāantica Roma. In sostanza, la cittĆ seguiva āla rossa processioneā fino al cimitero dove si celebrava la messa e poi āchiasso e bicchieriā. Questo rientrava in quella concezione secondo cui il defunto potesse godere dellāesuberanza vitale liberata accanto a lui.
CAPETIEMPE
Una tradizione popolare che sembra essere dimenticata o per alcuni addirittura sconosciuta, ĆØ immortalata tra le pagine Ā diĀ āCapetƬempeā, volume dello studioso pettoranese Vittorio Monaco (1941-2009),Ā in cui si scopre che lo storico Antonio De Nino (1833- 1907) definiva āusi popolari che cominciano a parere strani alla generalitĆ , perchĆØ scomparsi e rimasti nei piccoli paesi e nelle cittĆ isolate, servono ora quale anello di congiunzione tra la civiltĆ antica e la modernaā.
Secondo quella concezione circolare del tempoĀ per lāimmaginario popolare arcaico, come racconta lo studioso,Ā il periodo piĆ¹ suggestivo dellāanno, in cui vita e morte vanno a braccetto, ĆØ quello che va dal 31 ottobre, vigilia di Ognissanti, allā11 novembre,Ā un arco di tempo che suonaĀ come un capodanno,Ā un punto da cui tutto comincia, dopo la conclusione dellāanno agricolo, in cui si praticavano riti legati al ricordo dei morti.
NELLA NOTTE DI OGNISSANTI
Secondo la tradizione popolare, come Ā racconta ancora Monaco nel capitolo dāesordio dellāinteressante libro, Ā nella notte tra il 1 e il 2 novembre i giovani uscivano e scarabocchiavano le porte di bianco disegnando teschi e scheletri, come per segnare il passaggio da quelle parti dei defunti. Monaco nel suo libro cita De Nino il quale lodava lāamministrazione per averne represso lāuso.
Fino agli anni 40 a Pratola, nella sera di Ognissanti, i ragazzi con il volto imbiancato di farina bussavano alle porte delle case, a Pettorano usavano mascherarsi da scheletri ācon la faccia impiastricciata di cenere e farinaā, nella metĆ dellā800 invece i giovani contadini con la chitarra andavano di casa in casa intonando āla canzone dei questuandiā, in cambio di frutta, ciambelle, identificandosi con le anime dei mortiā.
Eā sempre affascinante quel viaggio nella memoria, in quel mondo incredibile fatto di tradizioni e credenze popolari del mondo contadino, che connotano lāidentitĆ del paese, tramandate oralmente di generazione in generazione, legate alla festa del 1 e 2 novembre, quando, oltre a celebrare i defunti, si attuavano riti forse per scacciare la paura della morte, a metĆ tra sacro e profano, carichi di quel fascini che sa di antico e vecchi merletti. Resistono miracolosamente, riuscendo a mantenere in vita quel prosieguo tra la semplice civiltĆ contadina di un tempo e la nostra attuale frenetica ed āevolutaā.